Quando si può parlare di concorrenza sleale?
Nel mercato libero, ossia dove i limiti di accesso sono inesistenti, a contendersi il primato sono gli imprenditori, i quali hanno come punto di forza i diritti che hanno acquisito su segni distintivi e diversi diritti di proprietà industriale, sui quali possono esercitare un utilizzo esclusivo.
Attraverso i segni distintivi i consumatori possono identificarli e, eventualmente, sceglierli. In questa situazione viene a crearsi un regime di concorrenza, dove i migliori vengono premiati e i peggiori scartati.
Questo regime resta genuino fino a quando diritti di proprietà o segni distintivi non vengono sottratti a un imprenditore da un altro. Nel caso specifico si verifica quella che viene chiamata concorrenza sleale, che la legge tratta in base al comportamento dell’imprenditore concorrente.
In presenza di una probabile concorrenza sleale, l’imprenditore danneggiato potrebbe chiedere l’intervento di Investigazionilex investigatore privato Napoli per indagini private e approfondite.
Concorrenza sleale: i presupposti
L’articolo 2598 del Codice Civile indica come primo presupposto di una concorrenza sleale il rapporto concorrenziale che si viene a creare tra due o più soggetti.
Innanzi tutto, bisogna dare una definizione ben precisa al termine concorrenza. In pratica si verifica quando due imprenditori immettono sul mercato i medesimi prodotti o servizi che vanno a soddisfare gli stessi bisogni, rivolgendosi quindi alla stessa categoria di consumatori.
Pertanto la essa si viene a creare quando uno o entrambi gli imprenditori cercano di sviare la clientela dal prodotto o servizio dell’altro.
Dunque la concorrenza assume un duplice profilo:
- merceologico, ossia quale tipologia di prodotti o servizi vengono offerti dagli imprenditori per la stessa clientela;
- Concorrenza sleale territoriale, ossia in quale misura viene inteso il mercato in cui si manifesta sia la domanda che l’offerta.
Un altro presupposto è la qualifica di imprenditore che viene ricoperta dagli individui entrati in concorrenza fra loro.
L’offerta di beni e servizi
Se dovesse mancare l’identità tra i prodotti o servizi, ciò che bisogna considerare è il piano dei bisogni dei consumatori/clienti.
Ad esempio, se un produttore di succhi di frutta soddisfa un bisogno similare a quello di un produttore di bibite gassate, allora si può dire che sussiste un rapporto concorrenziale. Ovviamente un produttore di intimo non potrà mai soddisfare gli stessi bisogni dei consumatori di chi, invece, produce pantaloni.
Quindi, nel primo caso si può dire che esiste un rapporto di concorrenza, nel secondo caso no, almeno non attualmente.
Il mercato e l’estensione sul territorio
Un’azienda opera all’interno del mercato appartenente a un determinato territorio. Più l’attività è grande, più il territorio sarà più vasto.
Sono proprio le aziende che hanno attività di grande dimensione a dover territorialmente competere maggiormente con la concorrenza.
In primis perché una grande azienda deve distribuire i propri prodotti o servizi in tutto il territorio nazionale, in secondo luogo deve saper sfruttare il sistema pubblicitario attuale, il quale le offre la possibilità di farsi conoscere in zone sempre più vaste e mobilitare, quindi, tutta la clientela.
Oltre al profilo merceologico, l’art. 2598 del Codice Civile si occupa anche di tutelare l’estensione del mercato sempre nell’ottica della potenziale concorrenza sleale.
La concorrenza sleale tra i liberi professionisti
Anche il libero professionista può svolgere un’attività economica organizzata sotto forma di impresa. Se inserito in un ambito molto vasto, può assumere il ruolo di imprenditore, sempre però nei limiti di qualifica precisate dalla Corte di Cassazione.
Nel caso specifico, la sentenza più recente (n. 2520 del 2016) ha stabilito che il professionista intellettuale è in grado di esercitare un’attività come impresa soltanto quando questa si distingue dalla sua professione.
Concorrenza sleale indiretta quando gli atti vengono compiuti da soggetti terzi nell’interesse dell’imprenditore
L’articolo 2598 al comma terzo stabilisce che la concorrenza sleale indiretta è quella che viene costituita da atti generati da soggetti terzi e non direttamente dall’imprenditore. Nello specifico, questi soggetti terzi potrebbero essere i dipendenti, gli organi sociali o ausiliari e i collaboratori.
La legge afferma che questi atti posti in essere non sono necessariamente perpetrati per conto dell’imprenditore, ossia su suo incarico, ma comunque per suo interesse.
Quindi non sono realizzati per forza di cose dall’imprenditore, ma da un soggetto terzo che, in modo consapevole, ha agito per danneggiare un altro imprenditore.
In questo caso chi è il responsabile della concorrenza sleale? Sia l’imprenditore che il soggetto terzo. Tuttavia, bisogna fare una distinzione in base al ruolo che il soggetto terzo ricopre:
- nel caso in cui è un dipendente dell’imprenditore, la responsabilità ricade su quest’ultimo. Un’eccezione in tal senso avviene quando il dipendente ricopre un ruolo dove gli è stata data libera iniziativa. In questo caso è anche lui responsabile;
- nel caso in cui, invece, la concorrenza sleale è stata perpetrata dall’amministratore della società nello svolgimento del suo lavoro d’ufficio, la responsabilità ricade sulla società, a meno che non siano esclusivamente e in modo diretto a lui ascrivibili.
Per quanto riguarda tutti gli altri soggetti, la responsabilità della concorrenza sleale è in solido con l’imprenditore.